In un miscuglio di antico e moderno, finto rococò e pop, icone e simboli sia di una cultura elitaria che popolare, il Kitsch non è semplicemente un sinonimo di cattivo gusto, come a lungo pensato. Si tratta di una vera e propria corrente che ha messo d’accordo generazioni di “estimatori” e che più di ogni altra, secondo il critico Clement Greenberg, è servita come collante per i grandi totalitarismi del secolo scorso. Greenberg è stato uno dei primissimo storici e critici dell’arte a interessarsi del Kitsch come fenomeno strutturato, insieme agli italiani Gillo Dorfles e Umberto Eco, che ne hanno analizzato le architetture e le influenze derivate nella società.
Kitsch è un termine tedesco apparso nella seconda metà dell’Ottocento in riferimento alla pratica del vendere una imitazione piuttosto che un oggetto autentico, pratica diffusa nei mercatini popolari. Con il tempo e l’uso sempre più diffuso del termine, kitsch finì per diventare sinonimo di robaccia, allargando il suo significato a tutti i campi della produzione, sia artistica che letteraria o musicale. Si trattava di una indicazione di falsi valori estetici, di uno sfruttamento della copia di un originale, copia a cui manca tutto il background autentico che ne crea nell’altro, invece, il vero valore. Ecco quindi come delle copie prodotte con tecnica industriale e serializzate di un oggetto indicativo, caratteristico, pregno di significato culturale e folcloristico, diventano un oggetto Kitsch: decontestualizzate, infinite, usate per scopi lontani dall’originale e prettamente estetici (un carretto siciliano in miniatura venduto alla bancarella dei ricordi turistici, per esempio). Oggi, parlando di Kitsch in riferimento alla cultura popolare e ai media, troviamo un filone ricchissimo e longevo di programmi che decontestualizzano autentiche emozioni per ricrearle sotto i riflettori, vendendo al pubblico la pura estetica dell’emozione, sfruttandone storie e derive sentimentali che normalmente sono originate da percorsi molto intimi e privati.
Uno dei problemi che rende il Kitsch una corrente negativa e poco amata da critici e storici dell’arte, è che implicitamente la riproduzione seriale di pezzi autentici, ne abbassa il valore oltre che annientarne i significati storici e culturali. Una riproduzione su legno dei dettagli della Cappella Sistina venduta nei grandi centri commerciali nel reparto delle decorazioni d’arredo, equivale a una costante erosione del sentimento di grandezza e unicità che in realtà l’autentico e unico capolavoro della Cappella Sistina rappresenta. In definitiva è come se attraverso il Kitch nell’arte, nella cultura mediatica, nella musica, si desensibilizzasse lo spettatore, portando a un appiattimento generale del gusto e della comprensione singolare di ogni espressione artistica.
Questo, come anticipato, fu per Clement Greenberg uno dei motivi che spinse i grandi dittatori del secolo scorso a prediligere il Kitsch alle avanguardie. A proposito della nostra esperienza italiana e del rapporto tra il regime di Mussolini e il Kitsch, egli scrisse:
“Per anni egli ebbe un atteggiamento benevolo nei confronti dei Futuristi e fece costruire stazioni ferroviarie e condomini d’avanguardia. Nella periferia di Roma, alla fine degli anni Trenta, si vedeva un numero di condomini d’avanguardia maggiore che in ogni altra città del mondo. Forse il fascismo voleva esibire la propria modernità per nascondere il fatto che rappresentava invece un regresso; forse intendeva conformarsi ai gusti di quella élite del denaro ai cui i servizi si era posto. In ogni caso sembra che Mussolini abbia infine compreso che sarebbe stato più utile per lui adeguarsi ai gusti culturali delle masse italiane, piuttosto che a quelli dei loro padroni. […] Vediamo così che Mussolini annuncia un nuovo stile imperiale. Marinetti, De Chirico e gli altri, sono messi in ombra e la nuova stazione ferroviaria di Roma non sarà d’avanguardia.”
Guardando indietro ai percorsi dell’arte e della società, possiamo vedere come nei periodi post Ottocenteschi caratterizzati da grande benessere, ci siano state esplosioni di Kitsch legate a un aumento della produzione industriale di beni e lussi di consumo. Dallo stile Neogotico agli anni del Déco, così come gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta con lo stile post-moderno. A questo proposito un altro grande intellettuale e critico del calibro di Abraham Moles, segnala come sia possibile dividere secondo un parametro kitsch l’arco di tempo che dalla seconda metà del 1800 arriva fino ai giorni nostri. Si tratta di due fasi ben distinte:
La prima fase è legata allo sviluppo della società borghese e alla produzione industriale in crescendo nella comunità.
La seconda fase si caratterizza dall’apertura delle masse al consumismo che crea la necessità attraverso una abitudine al possesso, di produrre grandi quantità di oggetti non primari, lussi di poco valore, da ammirare ma di scarsa qualità e quindi durata.
Nel prossimo appuntamento parleremo degli studi lunghi una vita che Gillo Dorfles ha dedicato al fenomeno del Kitsch.