Ernest Meissonier è un nome che ricorre più nei corridoi che nei grandi saloni dell’arte, eppure passeggiando per il Louvre, dove alcune delle sue opere sono esposte, e fermandoci ad ammirarle, intuiamo di trovarci davanti a una personalità e ad un talento che meritano più luce.
Meissonier ebbe una vita segnata dalla Rivoluzione Francese, dove partecipò come soldato e visse episodi e battaglie crudeli. Provò a riportare le orribili sensazioni di quelle esperienze sulla tela, con oli e acquerelli, guadagnandosi da una parte la critica feroce di chi lo considerava un artista dedito alla messa in scena teatrale e macabra della morte, nei suoi dettagli più cruenti e inutili, dall’altra trovando un apprezzamento genuino soprattutto tra artisti suoi pari e grandi nomi contemporanei europei.
Oggi è conosciuto come uno dei pittori napoleonici più rappresentativi dei temi di guerra, eppure fu più di questo: fu allievo di Léon Cogniet, Prix de Rome, che lo stimolò a viaggiare per l’Europa e acquisire punti di vista e tecniche diverse. Fu uno dei primissimi artisti a sperimentare in Francia il miniaturismo a olio, finendo per diventare un prediletto nelle collezioni private di molti mecenati. Fu illustratore di pregio e dipinse moltissime opere soffermandosi sul realismo dei temi, dettagliando in maniera incredibile i suoi quadri che raggiungevano livelli tecnici altissimi.
A Meissonier, lo scultore e artista napoletano Vincenzo Gemito, l’anima tormentata di cui abbiamo raccontato qui la vita, amico della prima generazione della famiglia Pepe che poi fonderà la Bottega Margutta, dedicò una scultura in bronzo alta 63 cm con base in marmo. Gemito ritrae il pittore nell’atto di posare il colore dalla tavolozza a una immaginaria tela: i due uomini avevano un percorso in comune, quello solitario che a lungo li ha portati a distaccarsi dalle convenzioni sociali in favore di una espressione artistica e di vita più sincera, seppur più complicata e difficile.