Dietro il volto del filosofo c’è una parte delle memorie dello scultore classe 1851 Vincenzo Gemito, la cui vita fu una altalena di tristi avvenimenti e meritate fortune.
Figlio indesiderato, viene abbandonato a un anno nella Napoli del 1852 presso l’Annunziata, istituto di accoglienza per i trovatelli che diventerà tragicamente noto per le condizioni dei bambini alla fine del 1800. Adottato da Giuseppa Baratta e dall’imbianchino francese Giuseppe Bes, sfugge a un triste destino presso l’istituto, vive tra i ricami della madre e i lavori del padre, che si intende anche di commercio. Quando questi muore, dopo anni di vita dissoluta, uomo arido e rude, Vincenzo si ritrova a soli sei anni a fare lavoretti saltuari per le strade di Napoli per aiutare l’affettuosa madre Giuseppa. Le seconde nozze con un artigiano muratore, Francesco Jadicicco, migliorano le condizioni di vita della famiglia e presto Vincenzo approccia la scultura divenendo l’apprendista di Stanislao Lista. Lo scultore introduce il ragazzo alle basi dell’arte, ma Vincenzo crescerà, come uomo e scultore, da autodidatta nelle strade di Napoli, guadagnandosi una nomea che ne identificherà gli orizzonti, così differenti da quelli comuni, esplorati durante la sua vita: Vincenzo ‘o scultore pazzo.
Dietro l’immortale sguardo e l’espressione severa del Filosofo, si nascondono le fattezze del secondo padre, amatissimo, Francesco Jadicicco. Da adulti, i due uomini con la folta barba, lo sguardo serio, la fronte aggrottata, si somigliavano talmente tanto che nei tratti del Filosofo è possibile vedervi anche lo stesso Gemito, in un autoritratto profondamente intimo.
Il legame della Bottega Margutta con Vincenzo Gemito risale ai tempi di Giuseppe Pepe, capostipite della tradizione antiquaria di famiglia, amico e ammiratore di Vincenzo.
Il Filosofo, scultura in bronzo firmata da Vincenzo Gemito, Italia fine 1800. Disponibile sullo shop.